Cenni di magia tibetana: il Tantra

Tantra in sanscrito significa “telaio”, “ordito”; ma tradotto anche “principio“, “essenza”, “sistema”, “dottrina”, “tecnica”, indica sia un insieme di testi dalla non univoca classificazione, sia un controverso insieme di insegnamenti spirituali e tradizioni esoteriche originatesi nelle culture religiose indiane con varianti induiste, buddhiste, giainiste e bönpo, con diramazioni diffuse in Tibet, Cina, Corea, Giappone, Indonesia e molte altre aree dell’Estremo Oriente.

In quest’ultima accezione, di questo insieme di tradizioni e culture è spesso adoperato come sinonimo anche il termine occidentale di tantrismo.

Il tantrismo ritiene che sia possibile raggiungere l’illuminazione anche nelle peggiori condizioni morali e sociali: l’età oscura in cui siamo immersi presenta innumerevoli ostacoli, che rendono difficile la maturazione spirituale

In confronto allo zen che invita a un cammino austero, il vajrayana propone un’abbondanza  di riti e di simboli quali i mantra (sillabe magiche), i mandala (diagrammi mistici), esercizi di hatha-yoga, esercizi “allucinatori”  dirette a trasformare le energie del corpo e dello spirito.

Il principio tantrico è che tutto può essere un mezzo, purché usato nel modo giusto.
Sotto questa ottica, il tantrismo potrebbe essere definita come  una nuova rivelazione che permette di risalire alle sorgenti stesse della vita.
L’uomo è strettamente legato al suo corpo: bisogna dunque rompere con la tradizione del distacco ed esercitarsi nella conoscenza e nel dominio delle energie segrete del corpo.

Per il tantrikā il mondo è permeato di potenze divine, energie che è possibile manipolare con la corretta esecuzione dei rituali. Il rito tantrico è spesso molto articolato, e implica non soltanto la gestualità e l’oralità, ma anche la visualizzazione interiore. Il coinvolgimento del corpo può essere tale da alterare lo stato di coscienza dell’officiante: non è intatti infrequente assistere a fenomeni di possessione (āveśa).
La pratica di culto più comune è la pūjā, l’omaggio a una divinità. Il rituale è sostanzialmente diviso in due parti: la purificazione e divinizzazione del corpo dell’officiante (“culto interiore“); l’omaggio vero e proprio (“culto esteriore“).

La prima parte consiste nel rendere il corpo dell’officiante degno di poter eseguire l’omaggio, e prevede pratiche di purificazione con lavacri e mantra, seguito da pratiche di visualizzazione. La seconda parte continua con mantra e pratiche di visualizzazione accompagnate, con variazioni a seconda della divinità, dal rito di adorazione.

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