Magia e stregoneria- conoscere le origini

Magia e stregoneria: conoscere le origini per meglio comprendere il presente

Uno sguardo indietro

Per comprendere la figura della masca – presente in Piemonte già da tempo – è necessario voltarsi indietro e osservare le tracce lasciate dalla storia nel corso dei secoli; tale flashback sarà utile per introdurci al concetto di magia e stregoneria.
Nel corso di questa introduzione analizzeremo le origini di ciò che da parecchi secoli influenza la nostra percezione di tutto ciò che riguarda la magia, la stregoneria e il sabba, tratto identificativo per eccellenza della figura stregonesca.

Distinguiamo innanzitutto le due matrici di origine: come ci illustra Carlo Ginzburg nel suo saggio antropologico Storia Notturna abbiamo, da un lato, il tema dell’emarginazione sociale; dall’altro, quello della ritualità sciamanica nella figura folklorica, come il volo magico per entrare in contatto con il mondo dei morti (Ginzburg, 1989, p. 280).
Di non minore importanza è il nostro approccio al mondo magico: esso dovrebbe ricevere la minor influenza possibile da ciò che Wundt, uno dei fondatori della disciplina psicologica, chiama Einstellung culturale, ossia ”atteggiamento mentale’‘ (De Martino, 1997, p. 53).

Spesso è proprio questo atteggiamento mentale, che si basa sul ”buon senso” e sullo ”spirito scientifico”, a creare lo scandalo dinnanzi a tutto ciò che non può essere provato scientificamente (De Martino, p. 53).

Nozioni di magia

Tuttavia, la nozione di ”magia” non è di facile definizione; sappiamo che è stata a lungo oggetto di dibattito, in antropologia, in seguito a riflessioni di carattere evoluzionistico, e materia di confine per definire, tramite il contrasto da essa prodotto, i contenuti della religione, della scienza o della ragione (Fabietti e Remotti, 1997, p. 431).

Il Dizionario di antropologia a cura di U. Fabietti e F. Remotti riporta la seguente definizione di magia: ”Essa (la m.) è infatti più il prodotto della visione del mondo di colui che osserva certi atti e certe pratiche (per es., una procedura terapeutica, le formule per la coltivazione degli orti, un atto di divinazione, una persona che pronuncia un incantesimo o una maledizione, un individuo coinvolto in un rito per provocare la pioggia) che non una qualità intrinseca a tali attività o alle credenze che la sottendono’‘ (Fabietti e Remotti, p. 53).

Lo sciamano, giuntura tra i vivi e i morti

Ora allontaniamoci dal significato teorico di magia e avviciniamoci invece a esempi pratici. In tutto il mondo (per citare alcune zone: Africa, Australia, Siberia, America centrale) erano – e sono tutt’ora – presenti popolazioni che si affidano ai poteri magici per entrare in contatto con l’aldilà, predire avvenimenti come malattie, eventi atmosferici o esiti di caccia, e addirittura liberare alcuni membri del clan dagli spiriti maligni che si sono nascosti nella loro anima (De Martino, p. 59).

La figura dello sciamano assume un ruolo fondamentale all’interno della società animista. L’uso del termine ”sciamano” indica, appunto, quella figura di primaria importanza all’interno di una popolazione e  riveste la funzione di sacerdote, stregone, guaritore e chiaroveggente.
E’ probabile che il termine, di origine tungusa, abbia fatto la sua prima comparsa nel racconto dell’arciprete russo ortodosso Avvakum, esiliato in Siberia alla fine del XVII secolo, ”il quale indica nello sciamano un suo rivale religioso, al servizio del diavolo anziché di Dio’‘, e descrive il rituale ”fatto di salti, gesticolamenti e grida che questi esegue per prevedere il tempo” (Hamayon, 1997).
Si ritiene che il vocabolo provenga dalla parola shaman, a sua volta proveniente dal tunguso šaman, che significa ”muovere i piedi, agitare le gambe” (Hamayon, 1997).

Riti sciamanici ed estasi al buio

L’agitarsi e il muoversi senza sosta, con grida e strepiti, è proprio il comportamento che è stato osservato da alcuni studiosi che hanno assistito a rituali sciamanici di vario genere, in Siberia e in Asia, come anche in Africa equatoriale.

Ne Il mondo magico, Ernesto de Martino riporta un interessante resoconto di Paul Schebesta, antropologo, testimonio presso i Negrilli di un tentativo (fallito, in questo caso) sciamanico di contatto con gli spiriti.

I partecipanti e gli osservatori sono accalcati all’interno della capanna, da cui rimbomba un tamburo e si leva un canto monotono. Il pigmeo dotato di poteri magici tiene in mano un corno di antilope cosparso di cera ”magica”; a un certo punto, si accascia a terra e inizia a dimenarsi.

L’uomo ‘‘cade in trance, si dimena furibondo, mugola, si lamenta, fa dei gesti da mentecatto, salta a più non posso”, e ”si rotola, si dimena senza posa” (De Martino, p. 23).

Sempre de Martino ci mostra uno spaccato della società tungusa: ogni essere umano possiede un’anima che è in grado di comunicare con le altre anime; durante gli stati di trance, gli sciamani tungusi esteriorizzano in forma di sostanza immateriale la loro anima, che comunica con le anime delle altre persone.

Secondo i Tungusi, quando qualcuno è colpito da qualche disgrazia, è possibile venirne a conoscenza a distanza tramite una particolare sensazione al cuore.

Gli sciamani tungusi, prosegue de Martino, ottengono la comunicazione a distanza con metodi diversi, dai sogni all’estasi. In ogni caso, condizione fondamentale del rito sciamanico è il buio:  è tramite l’oscurità, e quindi la notte, che lo sciamano raggiunge l’estasi molto più facilmente (De Martino, pp. 10-13).

Rospi e funghi

Vari elementi connettono i riti sciamanici al volo notturno delle streghe dirette al sabba: primo fra tutti, il viaggio verso il mondo dei morti (Ginzburg, p. 280) Non solo balza all’occhio il viaggio verso l’aldilà come denominatore comune, bensì anche le modalità impiegate per ”levarsi in volo”: da centinaia di resoconti redatti da preti inquisitori, sappiamo che le streghe ”volavano” con lo spirito per raggiungere il sabba mentre erano completamente immobili nei loro giacigli (Murray, 1972, p. 140).

Se nel ‘500 Cardano e Dalla Porta affermavano che pratiche quali trasformazioni in animali, voli, apparizioni del diavolo erano ”l’effetto della denutrizione o dell’uso di sostanze allucinatorie contenute in decotti vegetali o unguenti (…), nessuna forma di privazione, nessuna sostanza, nessuna tecnica estatica può sollecitare, da sola, il ripresentarsi di esperienze così complesse” (Ginzburg, pp. 283-284).

Tuttavia è risaputo che l’utilizzo della amanita muscaria, fungo che provoca stati allucinogeni, è antichissimo; ne farebbero largo uso, per esempio, le popolazioni siberiane per raggiungere stati estatici.

Ginzburg ci illustra i collegamenti linguistici (e, di conseguenza, concettuali) tra questo fungo, il rospo e anomalie deambulatorie.

Nelle lingue ugro-finniche, la radice pon- designerebbe i funghi in generale, il tamburo e la perdita di coscienza.

Tale radice pare riaffiorare nel sanscrito pangù, che significa ”zoppo, storpio”. In alcune regioni francesi, i funghi privi di lamelle – come l’amanita muscaria – vengono chiamati bò o botet, termini associabili a bot (due significati: ”storpio” e ”rospo”).

Tale collegamento potrebbe sembrare azzardato se Ginzburg non ci suggerisse che in Cina l’amanita muscaria si chiama ”fungo rospo”, e in Francia crapaudin (da crapaud, ”rospo”).

Inoltre, i termini ”sedia del rospo” e ”cappello del rospo” vengono utilizzati in inglese, irlandese, gallese, bretone, danese, norvegese e basso tedesco per designare i funghi.  Si è teorizzato che l’italiano rospo derivi dal latino haruspex, ”mago, indovino”.

Da ricordare è anche il fatto che la pelle di alcuni rospi produce una secrezione dalle proprietà psicotrope (Ginzburg, pp. 286-287).

Allucinazioni indotte

Un nesso, anche se debole, tra elementi dalle proprietà allucinatorie e la figura della strega piemontese si trova proprio nelle Alpi, nel Giura e nei Pirenei, dove si trovano abeti e betulle in abbondanza, ai cui piedi cresce la stessa amanita muscaria.

Nonostante questo collegamento, ”anche nei pochissimi casi anomali, in cui affiorano descrizioni di estasi di tipo sciamanico, l’amanita muscaria non compare in alcun modello proposto dagli inquisitori” (Ginzburg, p. 288).

Un’altra ipotesi che spiegherebbe, almeno in parte, i voli estatici delle streghe, si incentra su un altro fungo, chiamato claviceps purpurea, che si installa sui cereali, in particolare la segale, la cui ingestione, in passato, provocò diverse epidemie soprattutto in Europa Centrale: Ginzburg riporta la tesi di laurea di uno studente di medicina che assistette alle manifestazioni di malessere che avevano colpito dei pazienti affetti da ergotismo, l’epidemia provocata dalla segale ”cornuta” (cornuta perché il fungo sopracitato, installatosi sul cereale, forma delle escrescenze simili a corni): i malati erano scossi da forti convulsioni e piombavano in sonni profondi; quando si svegliavano, affermavano di aver avuto delle visioni.

Inoltre alcune specie di claviceps purpurea contengono un alcaloide da cui si può sintetizzare l’acido lisergico dietilamide (LSD) (Ginzburg, pp. 284-285).

Ciò non significa che le streghe assumessero volontariamente funghi allucinogeni per recarsi al sabba, ma è comunque un curioso collegamento che non preclude la possibilità che le ”adoratrici del diavolo” utilizzassero prodotti e unguenti per favorire le allucinazioni, e che anzi ci ricorda che l’utilizzo cosciente di erbe e decotti per guarire e curare era  comune nella medicina popolare.

La Vecchia Religione o Paganesimo

Abbiamo utilizzato il termine ” adoratrici del diavolo” proprio perché di questo erano accusate le streghe: adorare Satana.

In un’Europa dominata dalla Chiesa, qualsiasi culto che uscisse dai rigidi schemi della tradizione cristiana era da considerarsi pagano, ossia eretico, da punire ed eliminare. Ma facciamo ancora un passo indietro e andiamo a scoprire le origini del paganesimo.

Antiche raffigurazioni di divinità risalgono al tardo periodo paleolitico e possono essere trovate nella Caverne des Trois Frères nell’Ariège.

Il dipinto raffigura un uomo rivestito di una pelle animale con un copricapo di corna di cervo, attorniato da altre figure.

La posizione dell’uomo col copricapo cornuto è centrale e questo può far pensare che stia celebrando una cerimonia.

Il Paleolitico è ricco di molte altre raffigurazioni di questo tipo, in cui le figure sono adornate da corna e dipinte nell’atto di danzare da sole o in gruppi.

Anche durante l’età del bronzo ritroviamo molte raffigurazioni dello stesso genere, soprattutto in Egitto, Mesopotamia e India.

Nel pantheon babilonese, era il numero di corna a indicare la posizione di una divinità (Murray, p. 24); in Egitto, la divinità cornuta più importante era Osiride, colui che concedeva la fertilità; in Grecia ritroviamo il Minotauro, dal corpo umano e dalla testa di toro, e Pan, dalla barbetta appuntita e dalle zampe di caprone; dai resoconti dei conquistatori romani nell’Europa occidentale, scopriamo che i Galli adoravano una divinità cornuta, che gli stessi Romani chiamarono Cernunnus.

Sappiamo quindi che le religioni antecedenti al Cristianesimo erano politeiste, e le corna simboleggiavano probabilmente la fertilità (Murray, p. 26). Nel frattempo, il Cristianesimo stava espandendosi; fu più semplice convertire la parte orientale dell’Europa rispetto, per esempio, alle Isole Britanniche (un po’ a causa della lontananza fisica di quei luoghi e un po’ a causa degli influssi esercitati dai popoli pagani scandinavi) (Murray, p. 27).

In ogni caso, i collegamenti tra politeismo, corna simboleggianti la fertilità e paganesimo sono evidenti. Il passaggio da Dio Cornuto a Satana è molto rapido: nel 1303 il vescovo di Coventry, in un documento, venne accusato davanti al Papa di rendere omaggio al Diavolo sotto sembianze di montone.

E’ importante sottolineare che questo ”è uno dei primi documenti britannici in cui l’antico dio viene chiamato Diavolo dagli scrittori cristiani del Medioevo” (Murray, p. 32). Dai documenti risulta che la prima strega processata dalla Chiesa per la sua fede religiosa fu la dama Alice Kyteler nel 1324, ed è nel quindicesimo secolo che la Chiesa segna le prime vittorie: i primi processi cominciarono in Lorena nel 1408, e nel 1484 il papa Innocenzo VIII pubblicò la sua bolla contro le streghe. La battaglia infuriò durante tutto il sedicesimo e il diciassettesimo secolo. Nel 1487 in Germania venne pubblicato un testo in latino, il saggio intitolato Malleus Malleficarum (letteralmente ”Il martello delle streghe”) allo scopo di reprimere l’eresia, il paganesimo e la stregoneria.

Il carattere della Vecchia Religione

Molti culti antichi erano caratterizzati per una forte adorazione della natura e della fertilità, praticata anche attraverso le adunanze.

La Murray ci dice che l’adunanza più importante era il Sabba. I Sabba si tenevano ogni tre mesi, il 2 febbraio (la Candelora), la vigilia di maggio, il 1° agosto e la vigilia di novembre (Ognissanti). Queste date mostrano che l’anno era suddiviso in due semestri, che cadevano a maggio e  a novembre, ulteriormente suddivisi in due trimestri.

Sempre secondo la Murray, tale suddivisione del calendario è tipica di un periodo antecedente all’introduzione dell’agricoltura, poiché nulla hanno a che vedere queste date con la semina e la mietitura; al contrario, segnano l’apertura delle due stagioni in cui gli animali, domestici e selvaggi, procreano.

Secondo la studiosa, si tratterebbe dunque di un calendario che appartiene a periodi in cui le popolazioni erano dedite alla caccia e alla pastorizia (Murray, p. 74). I Sabba si tenevano sempre all’aperto e duravano tutta la notte.

Cominciavano e finivano con le danze, in tondo o in processione, a piedi o a cavallo. Le danze erano accompagnate dalla musica, suonata soprattutto con flauti, pifferi e tamburelli. Ai grandi Sabba si riunivano gli abitanti di interi villaggi; il clima era festoso e divertito, e tale allegria era enfatizzata da lauti banchetti.

Si beveva vino, si mangiava molto e si danzava nella natura: non c’è da stupirsi se, in questo clima, avvenissero euforici baccanali.

Per chi volesse convertirsi a questo culto, si teneva una cerimonia in cui veniva apposto un sigillo sul nuovo convertito.

La Murray ci dice che, da ciò che si evince dai documenti, il marchio veniva impresso trafiggendo o tagliando la carne: una volta uscito il sangue, la ferita veniva premuta forte di modo che, anche una volta guarita, fosse visibile una cicarice bluastra (Murray, pp. 97-112).

La teoria del complotto come strumento di emarginazione

L’idea che ai giorni nostri abbiamo sulle streghe si basa quasi completamente sui documenti ecclesiastici e cronache dei secoli ospiti delle persecuzioni.

Ma quelle accusate di stregoneria, anche se non partecipavano al Sabba (fisicamente o ”in volo” tramite composti allucinogeni), erano talvolta semplici donne del popolo, delle sages-femmes, spesso chiamate come levatrici; erano donne che conoscevano i rimedi delle erbe, specializzate in medicina naturale, che tramandavano al ramo femminile della famiglia i segreti della magia naturale e dei ritmi della natura.

Le streghe curavano chiunque venisse loro sottoposto, davano consigli sulle semine e sui raccolti. In quanto donne di conoscenza, erano figure scomode per la mentalità cristiana e misogina di quell’epoca (Murray, p. 140).

E’ dunque partendo dai fanatici pregiudizi dei preti cristiani che il feticcio cornuto è diventato il Diavolo e la ”strega” un’eretica adoratrice del male.

Le streghe non furono le uniche a essere additate come eretiche; nel corso dei secoli, gli oggetti delle ghettizzazioni da parte della Chiesa furono svariati, frutto di ”un timore suscitato dal mondo sconosciuto e minaccioso che incombeva oltre i confini della cristianità, in cui ogni evento inquietante o incomprensibile veniva attribuito alle macchinazioni degli infedeli ispirati dal demonio” (Ginzburg, p. 25).

Abbiamo come esempio gli interrogatori, le torture e i massacri inflitti a lebbrosi ed ebrei agli inizi del ‘300, come ci spiega Ginzburg in Storia Notturna.

Prima i lebbrosi e poi gli ebrei furono oggetto di ghettizzazione in Francia; vennero accusati di ordire un complotto per spodestare il Re e di voler avvelenare l’acqua per far ammalare le persone ancora sane (Ginzburg, p. 41).

Più precisamente, nel 1321 abbiamo le accuse contro lebbrosi ed ebrei; nel 1348, le accuse contro ebrei e poveri; attorno al 1375, il coagularsi di una setta di streghe e stregoni;  tra il 1435 e il 1437, testimonianze registrate da Nider, scrittore e frate domenicano tedesco, su una setta di streghe e stregoni in cui si entra grazie a precise cerimonie iniziatiche.

Inoltre, le persecuzioni verso ebrei e lebbrosi iniziarono nella stessa regione francese in cui iniziarono quelle verso gli accusati di stregoneria (Ginzburg, p. 45).

Lupi mannari e benandanti

Le streghe adoratrici di Satana non furono gli unici individui a essere considerati ”magici”. In alcune zone d’Europa, si credeva esistessero i lupi mannari, uomini che, in precisi periodi dell’anno, andavano all’inferno a battersi contro il diavolo – abbiamo testimonianze di queste credenze in diverse zone e in diversi periodi storici.

Nel 1692, in Livonia, un signore ottantenne confessò ai giudici che l’interrogavano di essere un lupo mannaro e di combattere il diavolo, la notte, insieme ad altri lupi come lui; lo stesso Erodoto, già dal V secolo avanti Cristo parlava di uomini in grado di trasformarsi in lupi (Ginzburg, pp. 130-132).

In Friuli, i benandanti (letteralmente ”buoni camminatori”) erano uomini che combattevano contro streghe e stregoni per la fertilità dei campi: raggiungevano gli inferi in gruppo grazie a stati estatici. Si pensava che benandante si nascesse: coloro che nascevano ”con la camicia”, ossia avvolti nella membrana amniotica, avevano poteri magici ed erano destinati a combattere il diavolo nel mondo dei morti (Ginzburg, p. 150).

Nell’omonima opera di Ginzburg, I benandanti, ritroviamo moltissime testimonianze di questi uomini, che combattevano i sabba stregoneschi per difendere i campi delle loro terre; i benandanti erano ”predestinati” al loro compito e, attorno al raggiungimento della maggiore età, ricevevano una ”chiamata” iniziatica.

Erano poi destinati a combattere il male negli inferi uscendo dal proprio corpo sotto forma di spirito durante il sonno.

Con l’aspetto di un piccolo animale (topo, farfalla, gatto, riccio, ecc.) oppure di una nuvola di fumo, o di altre forme, lo spirito si riuniva con quelli di altri benandanti in determinati luoghi e combatteva a colpi di rami di finocchio contro streghe e stregoni: ”Io sonno Benandante perché vò con li altri a combattere quattro volte l’anno, cioè nelle quattro tempora, di notte, invisibilmente con lo spirito et resta il corpo’‘ (Ginzburg, 1996, p. 84).

Non è chiaro come i benandanti, all’inizio difensori della fertilità e nemici delle streghe, dunque con ruolo positivo, vennero decretati eretici dalla Santa Inquisizione fra il sedicesimo e diciassettesimo secolo.

Probabilmente il fatto di essere considerati ”pagani” e di vedere i morti, poiché ‘‘chi vede i morti, cioè va con loro, è un Benandante” (Ginzburg, p. 73), decretò la loro condanna agli occhi della Chiesa.

Abbiamo dunque visto che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha preso il sopravvento, ed ora l’immagine della strega è appannaggio di secoli e secoli di pregiudizi e ingiuste accuse.

In Piemonte esiste una lunga tradizione ‘‘magica”, di cui sono protagoniste le masche, e solo dopo aver eseguito questa breve introduzione è possibile comprendere del tutto la figura di queste donne così misteriose.

di Ambra Cantelli
Università degli Studi di Torino

Bibliografia

·        Ginzburg Carlo (1989), Storia notturna, Torino, Einaudi.
·        De Martino Ernesto (1997), Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Bollati Boringhieri.
·        Fabietti Ugo & Remotti Francesco (1997),Dizionario di antropologia, Torino, Zanichelli.
·        Hamayon Roberte (1997), Sciamanesimo, Enciclopedia delle scienze sociali,
·        Murray Margaret (1972), Il dio delle streghe, Roma, Astrolabio-Ubaldini.
·        Ginzburg Carlo (1996), I benandanti, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi.

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