Religione, Stregoneria o conoscenza?
A cominciare dal 12° sec. lentamente prendeva il sopravvento l’idea che certe persone, in particolare donne (forse in conseguenza della comune convinzione dell’inferiorità della donna, intesa come creatura maggiormente sottomessa alle passioni e seduttrice), fossero in contatto con il diavolo, il quale conferiva loro capacità nocive soprannaturali.
Ecco alcune delle opere che giustificarono e anzi spronarono la persecuzione delle presunte streghe restano memorabili il Formicarius di J. Nider (1440) e, soprattutto, in seguito alla bolla Summis desiderantes affectibus promulgata da Innocenzo VIII nel 1484, il Malleus maleficarum dei domenicani H. Institoris e J. Sprenger (1486).
Le prime voci che nel 16° sec. si alzarono contro il fanatismo si scontrarono con la severa opposizione dei sostenitori dei processi. J. Bodin chiese la condanna al rogo di J. Weyer che, con il De praestigiis daemonum (1563), aveva sistematicamente contestato, sul piano medico, giuridico e religioso, le tesi del Malleus; il volume Discovery of witchcraft di R. Scott (1584) fu bruciato sul rogo.
Con l’andar del tempo, tuttavia, quelle voci diventarono sempre più frequenti e insistenti, sia tra i protestanti sia tra i cattolici.
Ma ancora nel 17° sec. il problema era dibattuto, mentre continuavano i processi e le condanne di presunte streghe.
La lunga sopravvivenza dei processi contro le streghe, fino a qualche caso sporadico (Messico) nell’Ottocento, dipendeva anche dalla mancata unificazione del diritto in molti paesi feudali, dove singole legislazioni locali, dettate dai signorotti, erano in ritardo rispetto ad altre.
Così, mentre in Prussia, che arrivò relativamente presto a quell’unificazione, l’ultima condanna di streghe è del 1728, in Baviera, dove permanevano condizioni giuridiche più arretrate, ancora nel 1775 fu bruciata una strega.
Date ancora più recenti si hanno per Siviglia (1781) e per Poznań (1793). Scomparsa dalla cultura ufficiale e dalla giurisdizione, la credenza nelle streghe sopravvive tuttora presso alcune popolazioni rurali d’Europa.
…«Non vi sono uomini, per quanto primitivi, senza religione e senza magia. Non vi sono neppure, si deve aggiungere subito, razze selvagge che manchino di atteggiamento scientifico o non abbiano una scienza, sebbene questa mancanza sia spesso attribuita loro […]. La magia è indubbiamente considerata dagli indigeni assolutamente indispensabile alla prosperità dei giardini […]. Significa questo, tuttavia, che gli indigeni attribuiscono tutti i buoni risultati alla magia? No di certo. Se tu suggerissi a un indigeno che potrebbe preparare il suo giardino soprattutto con la magia e fare in modo superficiale il suo lavoro, egli riderebbe semplicemente della tua ingenuità. Sa bene infatti, come lo sai tu, che vi sono condizioni e cause naturali, e in base alle sue osservazioni sa anche che può controllare queste forze naturali mediante uno sforzo fisico e mentale. La sua conoscenza è limitata, senza dubbio, ma fin dove arriva è valida e inattaccabile dal misticismo. Se le palizzate vengono abbattute, se la semente va distrutta, si secca o viene trascinata via dall’acqua, egli non ricorrerà alla magia, ma al lavoro guidato dalla conoscenza e dalla ragione. La sua esperienza gli ha insegnato, d’altra parte, che nonostante tutti i suoi propositi e al di là di tutti i suoi sforzi vi sono agenti e forze che un certo anno concedono insoliti e immeritati benefici di fertilità, facendo sì che ogni cosa scorra liscia, che la pioggia e il sole arrivino al momento giusto, che gli insetti nocivi non compaiano, che il raccolto dia un prodotto sovrabbondante; un altro anno invece gli stessi agenti procurano insuccessi e fallimenti, lo perseguitano dall’inizio alla fine e frustrano i suoi più strenui sforzi e le sue conoscenze più solide. Per controllare queste, e solo queste influenze, egli adopera la magia»
(B. Malinowski, Magia, scienza e religione, 1925).